La sansa, in generale, è un sottoprodotto della procedura di lavorazione di olive, uva o altra frutta.
Dalla sansa, grazie a processi specifici, si possono ottenere altri prodotti, anche molto diversi fra loro: come fertilizzanti, combustibili o alimenti.
L’olio di sansa deriva dalla lavorazione delle olive, utilizzando gli scarti dell’extravergine e del vergine, ma ha molte qualità e può essere utilizzato in cucina, soprattutto per friggere.
La grappa, ad esempio, è prodotta grazie alla seconda lavorazione delle vinacce, sansa di uva, mentre l’olio deriva dalla sansa di olive.
La sansa di olive è una sorta di pasta, formata da residui di buccia, parte di polpa e frammenti di nocciolo delle olive, ed è, assieme all’acqua di vegetazione, il risultato della spremitura o della frantumazione delle olive da cui si è già ricavato l’olio extravergine e vergine d’oliva.
Al suo interno la sansa di olive trattiene una percentuale non trascurabile di olio – circa il 3-6% del suo peso che può essere estratto per pressatura o centrifugazione, grazie all’ausilio di solventi chimici: a questo stadio si tratta ancora di un olio grezzo e non commestibile.
L’olio grezzo viene poi raffinato e, in un ultimo passaggio, miscelato con una percentuale non definita di olio vergine.
A questo punto può essere consumato e quindi immesso sul mercato per essere venduto.
In Italia la vendita dell’olio di sansa, in un primo tempo proibita, è permessa dalla metà degli anni Venti.
Nella classificazione merceologica degli oli d’oliva commestibili, costruita seguendo il parametro della acidità libera, cioè della percentuale di acidi grassi che non si lega, a livello molecolare, alla glicerina, l’olio di sansa è situato al quarto e ultimo posto, dopo l’olio extravergine, l’olio vergine e l’olio di oliva.
Questa posizione in classifica, sebbene l’olio di sansa abbia una percentuale di acidità libera inferiore all’1,5%, è dovuta al fatto che, come abbiamo visto, all’interno del processo di estrazione e lavorazione, l’olio sia sottoposto a trattamenti chimici.
Il sospetto che ciclicamente pesa sull’olio di sansa, allora, è quello che al suo interno possano permanere tracce, più o meno marcate, di sostanze chimiche dannose per la salute del consumatore.
D’altro canto in suo favore, l’olio di sansa mantiene inalterata la composizione in acidi grassi rispetto all’olio di oliva.
Michele Martucci, presidente di Assitol una delle principali associazioni che raccoglie i produttori oleari, assicura che l’olio di sansa non solo non fa male alla salute, ma che non è da considerarsi come il frutto di un materiale di scarto, bensì come “fratello minore dell’olio d’oliva, dotato di analoghe qualità alimentari” indicato per la preparazione di tutti quei piatti che hanno bisogno di un olio delicato, non troppo caratterizzato, o per la frittura.