I limiti della nostra olivicoltura stanno nella cattiva politica?
La raccolta registra perdite ovunque e la colpa è sicuramente da addebitare all’andamento climatico. Per l’Italia, a questo elemento negativo per tutti è da aggiungere, l’aumento dell’abbandono degli oliveti e, anche, tante disattenzioni causate da approssimazione organizzativa
Dai primi dati ufficiali (ho letto quelli del notiziario Mercacei) della campagna olivicola 2016/17in Europa, ancora in corso, che riportano anche le previsioni finali, si ha un quadro dell’olivicoltura europea non bello in generale (meno che per la Spagna): una produzione di olio inferiore del 19,2% (1.875.200 tonnellate di fronte al quantitativo complessivo raccolto nella campagna precedente che è stato di 2.322.400).
Questo dato negativo diventa allarmante per l’Italia che alla fine produrrà 243.000 t. di olio, cioè un quantitativo pari alla metà (-48,8%) di quello della campagna precedente. Ancor più preoccupante se si pensa che si prevede un ulteriore aumento (+ 15,7%) dei quantitativi di olio d’oliva importati, pari a un quantitativo di circa 600.000 tonnellate, in cambio di un’esportazione di 288.700 t., che vuol dire una perdita del 24, 4% di fronte ai quantitativi esportati nella campagna precedente.
Ma non basta (sempre per il nostro Paese) c’è da aggiungere anche la perdita di consumo (-3,6%) superiore alla media europea (-2,1%). A differenza della Spagna che, a parte una perdita di produzione di olio di oliva e dei consumi interni, registra dati positivi soprattutto nel campo delle esportazioni: 925.000 t. (+6,8%), di cui 590.000 t. (+9,2%) nei paesi dell’Unione europea e 335.000 (+2,7%) nei paesi terzi.
E’ vero, la raccolta registra perdite ovunque e la colpa è sicuramente da addebitare all’andamento climatico, ma, se parlo dell’Italia, a questo elemento negativo per tutti è da aggiungere, l’aumento dell’abbandono degli oliveti e, anche, di tante disattenzioni causate da approssimazione organizzativa.
Se, però, si mettono a confronto i dati della Spagna con quelli del nostro Paese per ciò che riguarda i consumi e, particolarmente, le esportazioni, al limite organizzativo c’è da aggiungere quello, ancor più evidente, della commercializzazione. Il limite dovuto a una mancanza di strategia di marketing da parte del centro (Governo e Ministeri, sia dell?Agricoltura che del Commercio) e, ancor più, della periferia,soprattutto Regioni. Un vuoto di idee e di programmi, di strutture adeguate agli obettivi che si vogliono raggiungere, che producono sprechi enormi di quelle risorse finanziarie che sono, e non poche, a disposizione della promozione, comunicazione, valorizzazione e commercializzazione dell’olio extravergine di oliva e, non solo, anche del vino e dell’insieme dei prodotti agroalimentari.
Tutto questo, come ho avuto modo di sottolineare in precedenti articoli, in un momento in cui si tocca con mano la crescita di interesse del consumatore di ogni angolo del globo, soprattutto dei nuovi consumatori, quelli che si stanno avvicinando solo da poco tempo all’olio extravergine di oliva.
Un interesse da cogliere e seguire con azioni programmate e mirate se si vuole trasformare in una voglia di acquisto e, così, rendere il nuovo consumatore un consumatore affezionato, anche del territorio.
L’olivicoltura e il suo olio extravergine di oliva, così strategici per l’agricoltura, la ruralità e per l’insieme dei territori del nostro Sud, sono solo l’esempio del vuoto politico, che spesso è anche culturale, di chi, a vari livelli, ha il compito di governare il territorio e sfruttare al meglio le risorse e i valori che esso esprime e ciò è possibile solo partendo dalla domanda del mercato e dalla possibilità di influenzarla proprio con le dovute e corrette azioni di marketing .
E’ al mercato che bisogna chiedere per ottenere la giusta risposta al bisogno di un reddito adeguato a chi produce e trasforma le olive in olio extravergine di qualità.
E’ il mercato, soprattutto quello globale, e non la distribuzione a pioggia delle risorse finanziarie, che ha la risposta giusta, e, non solo per il mondo dei produttori e dei trasformatori agroalimentari, ma anche per chi vive ed opera in un territorio che esprime la qualità e la diversità degli oli e degli altri suoi prodotti che, come chi sa, sono anche fondamentali testimoni e, come tali, promotori di turismi, che vogliono dire occupazione, reddito, sviluppo, futuro per le nuove generazioni.
di Pasquale Di Lena
pubblicato il 31 gennaio 2017 in Strettamente Tecnico > L’arca olearia